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Le due esplosioni avvenute, ad intervalli di diversi minuti, hanno ucciso circa 100 persone, oltre a decine di dispersi e circa 200 feriti. Sei marinai francesi, lavoratori portuali, vigili del fuoco, primi soccorritori, militari e poliziotti francesi sono morti. Alcuni di loro erano noti per morire perché erano stati trovati pezzi dei loro vestiti, poiché le onde esplosive li avevano disintegrati.
Il giorno dopo l’esplosione, durante la sepoltura delle vittime, Fidel Castro dimostrò che le granate trasportate dalla nave non potevano esplodere a colpi di bomba, quindi l’ipotesi di un incidente quando iniziò a scaricare le scatole fu messa da parte: era stato provocato, era stato un atto terroristico.
Che Guevara era al suo fianco. E quella foto del Che che si trova anche nei luoghi più remoti del mondo, è stata scattata in quel periodo. Come ha detto il fotografo cubano che l’ha realizzata, Korda, è stato uno sguardo di rabbia e impotenza.
L’esplosione di La Coubre è stato il primo grande attacco terroristico contro Cuba. Il filosofo francese Jean-Paul Sartre, che si trovava a Cuba in quel periodo, scriverà al suo ritorno: “Cuba ha nemici che uccidono e che uccideranno. Odiano tutti: prima Castro, ma anche un tagliatore di canne, un portuale […] In poche parole, le fiamme della nave in fiamme rivelarono ai cubani la gravità del pericolo”.
Un anno dopo, il 4 marzo 1961, Fidel Castro avrebbe detto sullo stesso molo: “E quando la nave La Coubre esplose con quell’equilibrio dantesco di operai e soldati distrutto da un sabotaggio criminale, i nostri nemici ci avvertivano del prezzo che erano disposti a farci pagare…” Sì, è stato il prezzo per aver fatto una rivoluzione, per essersi dichiarati sovrani, per aver abbandonato il recinto. Prezzo che è ancora addebitato con il maledetto blocco!
Qualche giorno fa mi ha contattato la figlia di un altro dei marinai che viaggiavano su La Coubre. Mi ha detto che era venuto a conoscenza della mia ricerca quando il libro era già in circolazione, perché avrebbe potuto intervistare suo padre, che è ancora vivo.[1] Gli ho detto che non avrei perso l’occasione di trovarlo.
Non ho avuto il tempo di rivedere i documenti che mi sono stati consegnati negli archivi della Marina Mercantile Francese per leggere le loro testimonianze. Fortunatamente per lui, è stato uno dei marinai che sono scesi dalla nave per andare a vedere L’Avana, secondo sua figlia, Muriel.
Circa un anno fa, sono stato contattato dal nipote di un altro marinaio sopravvissuto all’esplosione a La Coubre. Mi disse che suo nonno, ora morto, aveva conservato con riserva molti ritagli di giornale dell’epoca. Mi ha raccontato che quando da bambino andavano a trovarlo, lui raccontava loro e raccontava aneddoti di quel terribile attacco. Di quel giorno orribile. Ora voleva darmi copie di quei file, oltre a raccontarmi le storie che aveva sentito. Il problema è che vive più vicino a Cuba che a Parigi, sull’isola francese della Guadalupa…
Quando ho letto queste due persone, mi è subito tornata in mente una cosa che mi ha sempre sorpreso: la differenza di trattamento di due governi con marinai e parenti. A Cuba, dal primo momento hanno avuto l’appoggio della rivoluzione, fino ad oggi. L’ho controllato. In Francia, i parenti ne hanno sentito parlare alla radio e ci sono voluti molti giorni prima che la presenza ufficiale fosse presente. E’ stata Cuba a consegnare per prima aiuti monetari direttamente, a Parigi, alle famiglie dei marinai scomparsi.
Fu Cuba ad avere il compito di fare una targa per ricordare i marinai: la sorella del più giovane dovette “combattere, combattere” con il governo francese, quasi 15 anni dopo, perché le dessero una targa e la portassero al cimitero dell’Avana. Alla fine ci è riuscita, l’hanno mandata a Cuba, ma nessuno dell’ambasciata è andato a riceverla, così il sindacato cubano ha dovuto recuperarla alla dogana. Non era tutto: il governo rivoluzionario dovette offrirle un biglietto per partecipare alla cerimonia solenne.
Da qui la sorpresa dei due marinai che ho intervistato, e delle loro famiglie, quando hanno saputo della mia indagine. Anche da altri parenti che ne erano a conoscenza e mi hanno fornito informazioni e anche foto. Se questo non è stato dato per scontato all’epoca dal governo francese e dalla stampa come meritava un tale atto terroristico, immaginate come farlo dopo tanti anni.
Questo tipo di indifferenza è stata assunta anche dai media americani e per non parlare di Washington.
Oggi capisco ancora perché è così. Un mese fa, rileggendo un libro che non aveva nulla a che fare con La Coubre, continuavo a trovare dettagli, fili, che mi portavano a quell’atto terroristico. Mi hanno confermato ancora una volta che il presidente Charles de Gaulle non c’entrava nulla, ma un gruppo paramilitare all’interno del ministero dell’Interno francese che era dietro a tutto questo, che poteva aiutare i ribelli in Algeria che stavano lottando per l’indipendenza dalla Francia.
E questo gruppo credeva che le armi trasportate da La Coubre sarebbero finite nelle terre arabe. E quel gruppo paramilitare, l’ho visto leggendo quel libro, era stato agli ordini della CIA dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Facevano parte di un immenso apparato organizzato e diretto dalla CIA, dove i soldati europei erano la maggioranza. Qualcosa chiamato Operazione Gladio, istituita per combattere l’Unione Sovietica e i suoi alleati e tutto ciò che puzzava di “comunismo”. I dettagli meritano un articolo completo.
Sono passati 65 anni da quell’atto terroristico. Il Dipartimento di Stato e la CIA si sono rifiutati di consegnare qualsiasi informazione in loro possesso al riguardo. Il cittadino americano che viaggiava sulla nave, Chapman, ha creduto per molti anni che si fosse trattato di un incidente o di un autoattacco della Rivoluzione, fino a quando non si è saputo, come mi ha detto, che doveva essere stata una questione della CIA.
Così chiese, come la legge permette, di dargli le informazioni che avevano a riguardo: lo dicevano in 150 anni. Penso che sia a circa 120 anni di distanza.
Se negli Stati Uniti sono state declassificate così tante informazioni sensibili che dimostrano la loro natura criminale, perché si ostinano a tenerle sotto chiave? È così grave? O si tratta di complici di altri paesi che non possono essere nominati? Ripenso all’Operazione Gladio…
[1] Hernando Calvo Ospina (Paola Monottoli, Traduttore). Castelvecchi, Roma, julio 2023.